PARIGI – Il 52,5% dei giovani under 25 italiani ha un contratto di lavoro precario. Lo riferisce l’Ocse nel suo Employment outlook, su dati 2013. La percentuale è in lieve calo rispetto al 2012 (52,9%), ma resta nettamente superiore agli anni pre-crisi (42,3% nel 2007) ed è quasi doppia rispetto al 2000 (26,2%). In particolare, sempre secondo i dati Ocse per il 2013, il 36,3% degli under 25 italiani occupati resta nel suo posto di lavoro per meno di 12 mesi. Percentuale che sale al 40,2% per le giovani donne.
La disoccupazione degli under 25 in Italia nell’intero 2013 ha toccato quota 40%, quasi il doppio del livello pre-crisi (20,3% nel 2007). La percentuale è leggermente più elevata tra le donne (41,4%) che tra gli uomini (39%). La tendenza all’aumento della disoccupazione giovanile, aggiunge l’Ocse nella nota sull’Italia, “si accompagna con l’ancor più preoccupante aumento dei giovani inattivi che non frequentano corsi di istruzione”. La percentuale di giovani non in educazione, occupazione o formazione (i cosiddetti ‘Neet’) “è salita di 6,1 punti, raggiungendo il 22,4% alla fine del 2013″. Per questi giovani, sottolinea l’organizzazione, “cresce il rischio di stigma, cioè di subire un calo permanente di prospettive di occupazione e remunerazione”.
La disoccupazione in Italia continuerà a crescere nel 2014, arrivando a quota 12,9% sull’insieme dell’anno, contro il 12,6% del 2013. Solo nel 2015 scenderà, al 12,2%. La percentuale di senza lavoro è quasi raddoppiata rispetto agli anni pre-crisi: nel 2007, il tasso di disoccupazione armonizzato era al 6,1%, nel 2008 al 6,8%. ”L’anemico tasso di crescita in Italia implica che la disoccupazione resterà elevata per il resto dell’anno”, scrive l’Ocse nella sua nota sul nostro Paese, sottolineando che “nel confronto con gli altri Paesi avanzati, in Italia non è solo elevata la quota di disoccupati, ma anche quella di occupati con un lavoro di scarsa qualità”.
“Circa 45 milioni di persone sono senza lavoro nell’area Ocse, 11,9 milioni più che appena prima della crisi”. L’Ocse rileva un lieve calo del tasso di disoccupazione nell’insieme dei Paesi membri ma lancia un allarme sui cambiamenti “strutturali” della forza lavoro. “La persistenza di alti livelli di disoccupazione si è tradotta in un aumento della disoccupazione strutturale in alcuni Paesi, che potrebbe non essere automaticamente riassorbita con il ritorno alla crescita economica – scrive l’Ocse – perché ha portato a una perdita di capitale umano e di motivazione a trovare lavoro, soprattutto per i disoccupati di lungo periodo”. Nell’area Ocse, infatti, 16,3 milioni di persone sono senza lavoro da oltre un anno, oltre il 35% dei disoccupati. In Italia, i disoccupati senza lavoro da almeno 12 mesi sono quasi il 57% del totale, con un picco del 61,5% tra gli over 55.
“Il lavoro in Italia sembra essere caratterizzato da un basso livello di sicurezza, a causa dell’elevato rischio di disoccupazione e di un sistema di protezione sociale caratterizzato da un tasso di copertura piuttosto ridotto e da un contributo economico poco generoso”. In Italia, la quota di neoassunti con un contratto precario è al 70%, “una delle più elevate tra i Paesi Ocse”. La riforma Fornero, spiega l’organizzazione, “ha ridotto la dipendenza” del mercato del lavoro dai contratti precari, “ma le imprese tendono ancora ad assumere lavoratori giovani e inesperti solo attraverso contratti a tempo determinato”. Inoltre, la recente liberalizzazione dei contratti a tempo determinato, “pur rispondendo al bisogno di aumentare rapidamente l’occupazione”, potrebbe, secondo l’Ocse, “condurre ad accrescere nuovamente il dualismo del mercato del lavoro”.
In Italia, solo il 20% degli assunti con un contratto precario riesce ad arrivare nei tre anni successivi a un posto di lavoro a tempo indeterminato. Lo ha affermato il direttore della divisione Lavoro e Affari sociali dell’Ocse, Stefano Scarpetta, durante la presentazione dell’Employment outlook. Per questo, ha aggiunto, il precariato per i giovani italiani non è “un punto di partenza” ma “una trappola”. L’Italia ha bisogno di “una riforma completa del mercato del lavoro”, che sostenga “le imprese che devono adattarsi ai cambiamenti tecnologici e di mercato, ma dia anche più sicurezza ai lavoratori che devono spostarsi da un lavoro all’altro”, e offra supporto adeguato ai disoccupati.