Automazione e digitalizzazione dell’economia e dei processi produttivi sono da considerarsi una rivoluzione pari per importanza alla rivoluzione industriale del XIX secolo. Secondo uno studio della Mc-Kinsey il 49% delle attività umane è soggetto a qualche forma di automazione, mentre per Bank of America entro il 2025 il 45% delle operazioni svolte in fabbrica verranno eseguite da robot.
A oggi è difficile prevedere le conseguenze di questi mutamenti sul mondo del lavoro (in termini sia di trasformazione dell’organizzazione del lavoro sia di creazione/cancellazione di posti di lavoro) ma quello che è certo è che cambiamenti repentini dovuti alle nuove tecnologie costringono sia l’imprenditore sia il lavoratore ad un aggiornamento costante. Diventa imprescindibile la formazione, in particolar modo quella digitale, che deve necessariamente essere continua.
Abbiamo interpellato su questi temi la Sonia Bertolini, Professore Associato di Sociologia del Lavoro all’Università di Torino.
Professoressa Bertolini, come affrontare questi cambiamenti così profondi e l’inevitabile cancellazione di posti di lavoro a basso valore?
Più che di una distruzione dell’occupazione, parlerei di una sua trasformazione. L’occupazione e le professioni si trasformano ormai molto velocemente in seguito ai progressi della tecnologia. Alcuni posti di lavoro si distruggeranno ma sene creeranno degli altri, il punto è che in Europa si tratterrà di posti di lavoro a più elevato capitale umano. Si tratterà di chi progetterà e programmerà i robot e l’organizzazione del lavoro, mentre alcuni lavori manuali spariranno. Per questo occorrerebbe investire sempre di più in istruzione e sviluppo di competenze specialistiche per i lavoratori. I Paesi che riusciranno a farlo vedranno una trasformazione dei posti di lavoro. Per chi sceglie la via bassa allo sviluppo, potranno effettivamente esserci problemi di perdita di posti di lavoro, perché la produzione si sposterà e in parte si è già spostata in Paesi in cui il costo del lavoro è minore o sparirà grazie all’avvento dei robot.
Le sfide dell’innovazione e dell’automazione non riguardano solo la grande impresa ma anche le Pmi. Eppure stupisce scoprire che solo un terzo delle Pmi italiane sono presenti on line con un proprio sito Internet. Come possono le piccole e micro imprese sfruttare al meglio le nuove tecnologie?
Questa direi che è la sfida dei prossimi anni per l’Italia, riuscire a mantenere e valorizzare le caratteristiche delle piccole medie imprese, stando però al passo con le trasformazioni anche tecnologiche. Occorre un massiccio investimento in questo da parte delle politiche e il rafforzamento delle capacità di “fare sistema” tra loro delle piccole imprese.
L’Italia da un lato ha varato il Piano Industria 4.0 dall’altro il sistema duale e l’alternanza scuola-lavoro. Che giudizio si sente di formulare?
Sono buone strade ma in Italia il problema è spesso l’implementazione delle politiche. Per esempio, l’alternanza scuola-lavoro deve essere totalmente costruita e presuppone una rete di relazioni istituzionali tra scuole ed imprese che al momento non esiste. Occorre, inoltre, che l’Italia trovi la sua strada all’alternanza scuola-lavoro e non copi le modalità altrui. Il modello di sviluppo italiano è diverso da quello tedesco. Gli studi provano che non è efficace importare una politica che proviene da un altro modello di sviluppo e sistema di welfare state senza riadattarla alle specifiche condizioni del contesto nazionale e locale.
I nostri padri prima hanno studiato, poi hanno imparato un mestiere e lo hanno praticato per tutta la vita. Oggi non c’è più un tempo dell’apprendimento distinto e antecedente dal tempo del lavoro. Quali risposte il sistema scuola e il mondo aziendale dovrebbero dare e come attrezzarsi per affrontare i nuovi scenari?
C’è un tempo per imparare quelle competenze di base che poi saranno anche utili sul lavoro. Quello che manca è il raccordo e il dialogo scuola-lavoro. Anche gli imprenditori sostengono l’imprescindibilità di queste competenze e il ruolo della scuola nel formare il cittadino. La scuola non può fornire un lavoratore “immediatamente” spendibile, ma può attrezzarlo per imparare velocemente e socializzarlo ad alcune regole di base del lavoro, attraverso l’alternanza scuola-lavoro.
Per le generazioni precedenti il “cambiamento” era uno ‘stato eccezionale’, destinato a durare una lasso di tempo. Chi riusciva a stare al passo con i tempi poi navigava in acque serene. Ora il “cambiamento” è la normalità, una costante. Questo sottopone sia le aziende sia i singoli individui ad uno “stress” costante per non diventare obsoleti.
Dipende come si organizza il lavoro. Il cambiamento e il continuo aggiornamento può essere stimolante e non necessariamente fonte di stress. Il lavoro ripetitivo può essere altrettanto stressante. Il punto è che questo aggiornamento sia accompagnato e che il lavoratore venga incentivato e stimolato ad aggiornarsi.
La recente normativa sul lavoro autonomo e le partite Iva ha disciplinato anche il ‘lavoro agile’. Lo smart worker viene giudicato sul risultato e non sul numero di ore trascorse in ufficio, gode di un’inedita libertà ma deve farsi carico del proprio aggiornamento. Non c’è più la mamma-azienda che ti organizza opportunità formative…
Arma a doppio taglio. Da un lato la valutazione sul risultato può essere più stimolante per tutti. Non obbliga il lavoratore a “far passare la giornata”. Dall’altra effettivamente le imprese tendono oggi a scaricarsi dei costi di formazione di cui dovrebbero in parte farsi carico
I nativi digitali sono immersi in un flusso costante di stimoli, informazioni, immagini. Lo Smartphone e i social non sono semplici appendici tecnologiche, strumenti che adoperiamo sia per la vita quotidiana sia per il lavoro, ma hanno modificato il nostro essere nel mondo. Le nuove generazioni sono avvantaggiate dal punto di vista lavorativo, oppure l’essere sempre connessi e immersi in un flusso comunicativo costante comporta dei rischi, perché all’abilità tecnologica può non corrispondere una solida preparazione di base?
Dipende sempre se si hanno delle solide basi per utilizzare bene gli strumenti. Le due cose non entrano in conflitto. Però alcuni studi dimostrano che l’essere immersi in un flusso continuo di informazioni può ridurre di molto la concentrazione e ridurre la qualità del lavoro svolto, e alla fine allungare i tempi di realizzazione del lavoro.