Al mainstream secondo il quale la scarsa crescita dell’economia e ritardo dell’Italia nell’attività innovativa è condizionata dalla frammentazione della struttura imprenditoriale, va affiancata una analisi dei più recenti dati statistici disponibili che evidenzia, al contrario, i punti di forza del sistema delle piccole imprese italiane che favoriscono innovazione, dinamica della produttività e crescita economica.
L’attività innovativa delle imprese pone al centro le decisioni di investimento, le previsioni sull’evoluzione del mercato e la propensione al rischio dell’imprenditore. In parallelo l’innovazione si basa sulla capacità dell’impresa di attivare relazioni con altre imprese – interagendo principalmente con clienti e fornitori – università, consulenti e centri di ricerca. I processi di innovazione, sempre più integrati con l’utilizzo di tecnologie digitali, generano effetti sulla produttività, sull’efficienza energetica e su altre azioni di riduzione dell’impatto ambientale. Le risorse umane dell’impresa innovatrice e dei suoi partner – in primis i fornitori – rappresentano un fattore chiave di successo, delineando le competenze e le conoscenza necessarie per l’innovazione e attivando i processi di formazione.
La propensione all’attività innovativa delle piccole imprese è diffusa e crescente nel tempo. Secondo l’ultima rilevazione dell’Istat relativa al triennio 2016-2018, le piccole imprese innovative sono oltre la metà (53,3%) delle piccole imprese tra 10-49 addetti, quota in crescita di 7,7 punti percentuali rispetto al 45,6% del precedente triennio, variazione leggermente più accentuata dei +7 punti percentuali del totale delle imprese. In particolare, la quota delle piccole imprese tocca il massimo del 62,6% per il manifatturiero esteso, quasi dieci punti superiore al 53,3% del triennio precedente.
Il confronto europeo sull’innovazione delle piccole imprese – disponibile per un aggregato settoriale complessivo leggermente diverso da quello considerato nell’indagine nazionale – evidenzia che l’Italia è quinta nell’Unione europea a 27, con una quota di piccole imprese con attività innovative pari al 60,9%, superiore di 14,9 punti percentuali alla media europea (46,0%), poco distante dalla Germania (62,3%) e ampiamente superiore a quelli di Francia (45,9%) e Spagna (26,9%).
Il confronto regionale – disponibile su dati relativi al totale delle imprese – evidenzia che la maggiore presenza di imprese innovative si registra in Veneto con il 62,4%, seguito – con valori sopra alla media nazionale – da Emilia-Romagna con 61,4%, Lombardia con 60,5%, Provincia Autonoma Trento con 57,8%, Toscana con 56,9%, Friuli-Venezia Giulia e Abruzzo con 56,0%. Il Piemonte si colloca al 54,8%.
Le spese informali delle MPI per l’innovazione – L’analisi sull’innovazione va letta considerando che l’attività innovativa delle micro, piccole e medie imprese non è spiegabile solo dagli indicatori comunemente impiegati nelle statistiche ufficiali, ma vi sono poste che non entrano nella contabilizzazione delle spese formali per R&S e innovazione ma sono compresi in altre voci del conto economico, tra i quali prevalgono i costi di prototipazione e quelli per nuovi materiali.
Infine va ricordato che la spesa in Ricerca e Sviluppo, una delle componenti principali delle spese per l’innovazione, per le piccole imprese registra un maggiore dinamismo, come evidenziato in una nostra precedente analisi.
L’analisi della propensione all’innovazione nelle MPI nel contesto della ripresa 2021, della digitalizzazione e transizione green è contenuta nel report ‘Ripresa dopo la pandemia e punti di forza delle micro e piccole imprese’ presentato giovedì scorso all’Assemblea di Confartigianato Terni.
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